IL CONSIGLIO DI STATO 
               in Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 9398 del 2013, proposto da: 
      Megasolare Societa'  Agricola  S.r.l.  in  persona  del  legale
rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario
Sanino, Orazio Abbamonte,  Cristiano  Chiofalo,  Carlo  Gurioli,  con
domicilio eletto presso  lo  studio  legale  Sanino  in  Roma,  viale
Parioli n. 180; 
 
                               Contro: 
 
      Gse  -  Gestore  Servizi  Energetici  in  persona  del   legale
rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo
Marzano e Filippo Pacciani, con domicilio  eletto  presso  lo  studio
legale Associato Legance in Roma, via XX Settembre n. 5; 
    Ministero dello sviluppo  economico,  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del  mare  in  persona  dei  rispettivi
ministri in carica, rappresentati e difesi  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio  -  Roma:  Sezione
III TER n. 8250/2013, resa tra le parti,  concernente  decadenza  dal
diritto alle tariffe incentivanti. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  Amministrazioni
intimate; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  17  giugno  2014  il
consigliere Roberta  Vigotti  e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati
Salvatore per  delega  dell'avvocato  Sanino,  Chiofalo,  Pacciani  e
l'avvocato dello Stato Grasso. 
    La societa' Megasolare Agricola chiede la riforma della sentenza,
in epigrafe indicata, con la quale il  Tribunale  Amministrativo  del
Lazio ha respinto il ricorso proposto  avverso  il  provvedimento  in
data 20 settembre 2012 del Gestore dei  servizi  energetici  (Gse,  o
Gestore), di decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti previste
dal decreto ministeriale 5  maggio  2011,  il  provvedimento  del  22
ottobre 2012, con cui il  Gse  ha  dichiarato  la  decadenza  per  un
periodo di dieci anni della societa'  ricorrente  e  del  suo  legale
rappresentante dagli incentivi previsti per le energie rinnovabili, e
il suddetto decreto ministeriale nella parte in  cui  attribuisce  al
Gestore la competenza a  verificare  la  fine  dei  lavori  sotto  il
profilo strutturale. 
    I) La societa' ricorrente, attiva nel settore della produzione di
energia elettrica fotovoltaica, il 24 maggio 2011 ha presentato,  con
esito positivo,  al  Gse  la  richiesta  di  iscrizione  al  registro
informatico previsto dall'art. 8 del citato decreto  ministeriale  al
fine dell'ammissione agli incentivi previsti dal medesimo decreto, in
relazione ad un impianto da realizzarsi nel territorio del Comune  di
Olevano Romano con la tipologia del montaggio  su  serre,  sulla  cui
copertura i pannelli fotovoltaici erano previsti in  sostituzione  di
una delle due falde. 
    In data 28 aprile 2012 la ricorrente ha dato comunicazione al Gse
della conclusione dei lavori: l'art. 6,  comma  3,  lettera  b),  del
decreto citato prevede infatti  che  per  gli  anni  2011  e  2012  i
soggetti iscritti nel registro hanno diritto all'ammissione al regime
tariffario incentivante se la certificazione di fine lavori per degli
impianti superiori a  1  MW,  come  quello  di  cui  trattasi,  fosse
pervenuta al Gse entro il 29 aprile 2012. 
    In data 9 maggio 2012, all'esito  del  controllo  effettuato  dal
Gse, emergeva peraltro che "le strutture adibite  a  serra  risultano
prive delle chiusure fisse  o  stagionalmente  rimuovibili  sia  lato
superiore (copertura delle falde  non  interessate  all'installazione
dei moduli fotovoltaici) sia  laterali";  le  strutture  superiori  e
laterali risultavano installate in esito al sopralluogo del 17 luglio
2012. 
    Nel corso dei lavori, con istanza del 22 marzo 2012 la ricorrente
aveva chiesto alla Provincia di Roma l'autorizzazione per  sostituire
le pannellature laterali e di copertura originariamente  previste  in
materiale rigido con teli in materiale plastico (PVC):  la  Provincia
ha risposto che tale sostituzione non costituiva variante essenziale,
e ha invitato  la  ricorrente  a  trasmettere  la  documentazione  al
Comune, prescrizione alla quale l'interessata ha  ottemperato  il  10
aprile 2012, ottenendo il nulla osta comunale. 
    In data 20 settembre 2012 il Gse, sulla scorta  delle  risultanze
del sopralluogo del 9 maggio precedente e di quelle del successivo 17
luglio, ha dichiarato la decadenza della societa' ricorrente  per  il
mancato completamento dei lavori alla data rilevante, mentre  con  il
provvedimento del 22 ottobre ha  disposto  la  sanzione  interdittiva
decennale in conseguenza della non veridicita' della dichiarazione di
fine lavori. 
    II) Entrambi tali provvedimenti sono stati impugnati  davanti  al
Tribunale amministrativo del Lazio che, con la sentenza in esame,  ha
respinto il ricorso. 
    In particolare, il Tar ha rilevato che  il  progetto  originario,
inviato  al  Gestore  a  supporto  della  domanda  di  ammissione  ai
benefici, aveva previsto la realizzazione delle pannellature laterali
e di copertura in policarbonato, mentre il nulla osta rilasciato  dal
Comune  di  Olevano  il  19  aprile  2012  per  la  sostituzione  del
policarbonato con chiusure in  plastica  in  PVC  non  e'  mai  stato
trasmesso  al  Gse.  Di   conseguenza,   l'attestazione   di   "piena
corrispondenza dell'impianto a quanto indicato  nella  documentazione
tecnica allegata alla richiesta di iscrizione al registro", contenuta
nella dichiarazione di fine lavori, necessariamente  deve  intendersi
come riferita al progetto originario, del quale,  alla  data  del  28
aprile 2012, era comunque evidente la mancata ultimazione  anche  con
riferimento al progetto modificato. 
    Legittima, pertanto, e' la  decadenza  comminata  dal  Gse  e  la
successiva sanzione interdittiva decennale, tenuto  conto  della  non
veridicita' dell'attestazione di fine  lavori  del  28  aprile  2012,
cosi' come legittimo  e'  l'accertamento  del  mancato  completamento
dell'impianto  dal  punto  di  vista  strutturale,  rientrante  nella
competenza del Gestore alla luce dei poteri  attribuitigli  dall'art.
42 del decreto legislativo n. 28 del 2011. 
    III) Con separata sentenza  il  Collegio  ha  ritenuto  infondato
l'appello proposto dalla societa' Megasolare  avverso  tale  sentenza
per la parte relativa alla contestazione  della  mancata  ultimazione
dei lavori e del conseguente provvedimento in data 20 settembre 2012,
di decadenza dagli incentivi di cui al decreto ministeriale 5  maggio
2011: percio' con separata sentenza per tale parte l'appello e' stato
respinto. 
    Per la parte relativa alla contestazione della  legittimita'  del
provvedimento del 22 ottobre 2012, con cui il  Gestore  ha  comminato
alla ricorrente la sanzione decennale prevista dall'art. 23, comma 3,
del decreto legislativo n. 28 del 2011 per il caso  di  presentazione
di dati o documenti  non  veritieri  o  di  dichiarazioni  false,  in
relazione al contrasto rilevato tra la documentazione inviata  il  28
aprile  2012  e   le   risultanze   del   sopralluogo   di   verifica
(contestazione giudicata infondata dalla  sentenza  impugnata,  sulla
scorta della gia' rilevata non  veridicita'  della  dichiarazione  di
fine lavori, alla quale la norma citata riconnette automaticamente la
grave  conseguenza   sanzionatoria),   il   Collegio   dubita   della
conformita' alla Costituzione  dell'art.  23  citato,  del  quale  il
provvedimento  in  esame  costituisce,  come  ha  rilevato  il   Tar,
legittima applicazione. 
    IV) In  via  preliminare  e'  necessario  ricostruire  il  quadro
normativo rilevante. 
    La legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee - legge comunitaria 2009) ha: 
      I) con gli articoli 2 e 3 ha delegato il Governo ad  introdurre
una  disciplina   sanzionatoria   di   violazione   di   disposizioni
comunitarie; 
      II) con l'art. 17 stabilito principi e  criteri  direttivi  per
l'attuazione, tra l'altro, della direttiva 2009/28/CE. 
    Il decreto legislativo n. 28 del  2011  ha  attuato  la  predetta
delega, definendo gli strumenti, i meccanismi,  gli  incentivi  e  il
quadro istituzionale,  finanziario  e  giuridico,  necessari  per  il
raggiungimento degli obiettivi fino  al  2020  in  materia  di  quota
complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale  lordo
di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. 
    Il Titolo V del predetto decreto ha previsto, tra  l'altro,  agli
articoli 23  e  seguenti,  i  nuovi  «Regimi  di  sostegno»,  per  la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare,
l'art. 24 ha disposto che la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili  entrate  in  esercizio  dopo  il  31  dicembre  2012  e'
incentivata sulla base di nuovi criteri specificamente previsti. 
    Il Titolo V, Capo II, dello stesso decreto ha previsto il sistema
di «Controlli e sanzioni», stabilendo, all'art.  42,  comma  1,  che:
l'erogazione  di  incentivi  nel  settore  elettrico  e  termico,  di
competenza del GSE, e' subordinata alla verifica dei dati forniti dai
soggetti responsabili che presentano istanza. 
    La verifica, che puo' essere affidata anche agli enti controllati
dal GSE, e' effettuata attraverso il controllo  della  documentazione
trasmessa, nonche' con controlli a campione sugli impianti. 
    I controlli sugli impianti, per i quali i soggetti  preposti  dal
GSE rivestono la qualifica di pubblico ufficiale, sono  svolti  anche
senza preavviso  ed  hanno  ad  oggetto  la  documentazione  relativa
all'impianto, la sua configurazione impiantistica e le  modalita'  di
connessione alla rete elettrica. 
    L'art.  42,  comma  2,  ha  disposto  che,  restano  ferrare   le
competenze  in  tema  di  controlli  e   verifiche   spettanti   alle
amministrazioni statali,  regionali,  agli  enti  locali  nonche'  ai
gestori di rete. 
    L'art. 42,  comma  3,  ha  previsto  che,  nel  caso  in  cui  le
violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1  e
2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione  degli  incentivi,  il  GSE
dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli  incentivi,
nonche'  il  recupero  delle  somme   gia'   erogate,   e   trasmette
all'Autorita'   l'esito    degli    accertamenti    effettuati    per
l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 2,  comma  20,  lettera
c), della legge 14 novembre 1995, n. 481. 
    Sul punto, deve aggiungersi che l'art. 23, comma 3, ha  previsto,
pur nell'ambito del  diverso  Titolo  V,  che  non  hanno  diritto  a
percepire gli  incentivi  per  la  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per  i
quali le autorita' e gli enti competenti abbiano  accertato  che,  in
relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di  erogazione
degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero
hanno reso dichiarazioni false o mendaci. La stessa norma ha aggiunto
che, fermo restando il recupero delle somme indebitamente  percepite,
la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha  durata  di
dieci anni dalla data dell'accertamento e  si  applica  alla  persona
fisica o  giuridica  che  ha  presentato  la  richiesta,  nonche'  ai
soggetti,   specificamente   indicati,   che   rivestono   ruoli   di
responsabilita' nell'ambito della societa'. 
    L'art. 7, del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n,  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita') ha  demandato  al  Ministro  delle
attivita' produttive, di concerto con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza unificata, di
adottare decreti  volti  a  definire,  tra  l'altro,  i  criteri  per
l'incentivazione  della  produzione  di  energia  elettrica  mediante
conversione fotovoltaica dalla fonte solare. In  particolare,  devono
essere stabilite le  modalita'  per  la  determinazione  dell'entita'
dell'incentivazione, costituita da una specifica tariffa, di  importo
decrescente e di durata tale da garantire una equa remunerazione  dei
costi di investimento e di esercizio. 
    In attuazione di quanto  disposto  dalla  riportata  disposizione
sono stati  adottati  i  decreti  ministeriali  28  luglio  2006,  19
febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011 (che  hanno  introdotto,
rispettivamente, i cosiddetti primo, secondo, terzo  e  quarto  conto
energia). 
    In particolare, l'art. 8, del decreto ministeriale 5 maggio 2011,
che rileva nella fattispecie  in  esame,  prescrive  che  i  soggetti
responsabili  di  grandi  impianti  debbano  richiedere  al   Gestore
l'iscrizione   all'apposito    registro    informatico,    ai    fini
dell'ammissione, secondo  l'ordine  di  graduatoria,  agli  incentivi
previsti dal medesimo decreto, e che per l'anno 2011 le richieste  di
iscrizione debbano pervenire dal 20 maggio al 30 giugno 2011. 
    L'art. 6, comma 3, lettera b), del  medesimo  decreto  stabilisce
che per gli anni 2011 e 2012 i soggetti iscritti  nel  registro,  non
titolari di attivita' gia' in atto, hanno diritto  all'ammissione  al
regime  incentivante  se  la  certificazione  di  fine  lavori  degli
impianti superiori a 1 MW, come quello di cui si discute, perviene al
Gestore entro nove mesi (che scadevano il 29 aprile 2012) dalla  data
di pubblicazione della graduatoria di cui sopra. 
    Il successivo art. 21, comma 2, dispone  che  l'accertamento,  da
parte del Gestore, della non veridicita' di dati e documenti o  della
falsita' di dichiarazioni, resi dai  soggetti  responsabili  ai  fini
dell'ottenimento  delle  tariffe  incentivanti  di  cui  al  presente
decreto comporta, tra l'altro, ai sensi dell'art. 23,  comma  3,  del
decreto legislativo n. 28 del 2011, la  decadenza  dal  diritto  alla
tariffa incentivante...e l'esclusione dagli incentivi, per dieci anni
dalla data dell'accertamento, per le persone fisiche e giuridiche che
hanno presentato la richiesta di incentivo. 
    V) Chiarito cio', ai fini della risoluzione della controversia in
esame  e'   pregiudiziale   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, del decreto legislativo n. 28 del  2011,
applicato con il provvedimento impugnato in primo grado. 
    Tale norma dispone, al  terzo  comma,  che  non  hanno  titolo  a
percepire gli  incentivi  per  la  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per  i
quali le autorita' e gli enti competenti abbiano  accertato  che,  in
relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di  erogazione
degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero
hanno reso dichiarazioni false o mendaci. Ferro restando il  recupero
delle somme indebitamente  percepite,  la  condizione  ostativa  alla
percezione degli  incentivi  ha  durata  di  dieci  anni  dalla  data
dell'accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha
»esentato la richiesta, nonche' ai seguenti soggetti: 
      a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; 
      b) il soggetto responsabile dell'impianto; 
      c) il direttore tecnico; 
      d) i soci, se si tratta di societa' in nome collettivo; 
      e)  i  soci  accomandatari,  se  si  tratta  di   societa'   in
accomandita semplice; 
      f) gli amministratori  con  potere  di  rappresentanza,  se  si
tratta di altro tipo di societa' o consorzio. 
    Questo   sistema   prevede,   quale   unico    presupposto    per
l'applicazione della suddetta misura,  l'avere  fornito  ai  soggetti
competenti  dati  o  documenti  non  veritieri,  ovvero  avere   reso
dichiarazioni false, e in base a questa norma il Gestore ha applicato
le sanzioni di cui si discute,  sulla  scorta  delle  risultanze  del
sopralluogo,  che  hanno  evidenziato  la   non   veridicita'   della
dichiarazione di fine lavori presentata dalla societa' ricorrente. 
    L'amministrazione ha quindi fatto una corretta applicazione  alla
fattispecie concreta di  quanto  stabilito  dall'art.  23,  inibendo,
sostanzialmente, per un periodo decennale,  l'attivita'  ai  soggetti
che avevano  presentato  tale  falsa  comunicazione:  ai  fini  della
decisione dell'appello, per la parte relativa alla legittimita' delle
sanzioni   applicate,   e'   quindi   rilevante   la   questione   di
costituzionalita' della norma applicata. 
    VI) Il giudizio di non manifesta infondatezza della questione  di
legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto  dell'art.
23, del decreto legislativo n. 28 del 2011 con gli articoli 3,  76  e
117, primo comma, della Costituzione. 
    VI.1) In via preliminare, deve accertarsi se il rimedio in  esame
possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti
sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. 
    Le   sanzioni,   irrogate    dalla    pubblica    amministrazione
nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la  reazione
dell'ordinamento alla violazione di un precetto. 
    La dottrina, valorizzando il  profilo  funzionale,  distingue  le
sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno
una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per  equivalente,
dell'interesse pubblico  leso  dal  comportamento  antigiuridico;  le
seconde hanno una finalita' afflittiva, essendo indirizzate a  punire
il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare  obiettivi  di
prevenzione generale e speciale. 
    Le  principali  tipologie  di  sanzioni  in  senso  stretto  sono
pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma  di  denaro,
ovvero interdittive, quando  impediscono  l'esercizio  di  diritti  o
facolta' da parte del soggetto inadempiente. 
    La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata  alla
luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). 
    La disciplina delle altre sanzioni  e'  contenuta  nelle  singole
discipline di settore, cui si applicano, ove compatibili, i  principi
generali sanciti dalla predetta legge. 
    Il decreto legislativo n. 28 del 2001 ha previsto  uno  specifico
sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. 
    L'art. 23 (come, in via  transitoria,  l'art.  43)  dello  stesso
decreto contempla una sanzione afflittiva, non  pecuniaria,  di  tipo
interdittivo. 
    La natura afflittiva e' conseguenza del fatto  che  l'effetto  di
ripristinazione  dell'interesse  pubblico  leso  e'  assicurato   dal
divieto di concessione di incentivi in relazione a  quello  specifico
impianto cui si riferisce la comunicazione di  fine  lavori,  nonche'
agli  impianti  che  utilizzano   in   altri   siti   le   componenti
dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.   L'estensione   del
divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici
diverse per una durata di dieci anni  non  puo'  che  perseguire  uno
scopo di punizione del soggetto che  ha  violato  il  precetto  (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). 
    L'appartenenza  al  tipo   di   sanzioni   interdittive   risulta
chiaramente  dalla  descrizione  normativa  della   fattispecie:   il
rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici  economici  per
un periodo di dieci anni, si risolve in  un  sostanziale  impedimento
allo svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    VI.2) L'art. 76 Cost. prevede che  la  delega  al  Governo  della
funzione legislativa non puo' avvenire se non con determinazione  dei
principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato  e  per
oggetti definiti. 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che  il
sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa  si
esplichi attraverso un  confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi
ermeneutici  paralleli,  Il  primo  riguarda  le   disposizioni   che
determinano l'oggetto, i principi  e  i  criteri  direttivi  indicati
dalla legge di delegazione, tenuto conto del  contesto  normativo  in
cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative.
Il  secondo  riguarda  le  disposizioni  stabilite  dal   legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
e i criteri direttivi della delega (da ultimo,  sentenza  n.  50  del
2014). 
    Nella fattispecie in esame la legge  n.  96  del  2010  ha,  agli
articoli 2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni  recanti
sanzioni penali o amministrative per violazione di obblighi contenuti
nella normativa europea da attuare. In particolare, l'art.  2,  comma
1, lettera c), prevede, quali principi e  criteri  direttivi  per  le
sanzioni amministrative, che esse: 
      I) devono consistere nel pagamento di una somma non inferiore a
150 euro e non superiore a 150.000 euro; 
      II) nell'ambito di detti limiti devono essere determinate nella
loro  entita'  tenendo  conto  della  diversa  potenzialita'   lesiva
dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto,
di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese  quelle  che
impongono particolari doveri di prevenzione, controllo  o  vigilanza,
nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione  puo'  recare  al
colpevole ovvero alla persona  o  all'ente  nel  cui  interesse  egli
agisce. 
    L'art. 23, del decreto legislativo n. 23 del 2011, nella parte in
cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non  pecuniaria  senza,
peraltro,  graduarne  l'applicazione  nel  rispetto  delle  modalita'
predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo
di copertura da parte  della  legge  di  delegazione  e  comunque  in
contrasto con i principi e criteri stabiliti dalla legge delega,  con
conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 
    V1.3) L'art. 3 della Cost.,  nell'applicazione  che  di  esso  ha
fatto la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo del  rispetto
del principio di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita'
legislativa. 
    Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere
osservato, nella fase applicativa, il principio di  proporzionalita',
il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e  proporzionata
in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. 
    Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in
concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa  di  un  potere
discrezionale in grado di individualizzare  la  sanzione  modulandone
l'entita' alla luce della  tipologia  e  gravita'  della  violazione,
nonche' della intensita'  dell'elemento  soggettivo  (si  veda  Corte
cost. n. 299 del 1992, con  riferimento  all'entita'  delle  sanzioni
penali; si veda anche art. 11, della  legge  n.  689  del  1981,  con
riferimento all'esigenza di una  commisurazione  discrezionale  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria),  elemento,  quest'ultimo,  che
assume particolare  rilevanza  laddove,  come  nella  fattispecie  in
esame, ad essere colpito e' una pluralita' di soggetti. 
    La proiezione di  tale  principio  a  livello  costituzionale  ne
comporta  la  sua  collocazione  nell'ambito   della   regola   della
ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale  regola  una  misura
sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non
aderente alla specificita'  delle  singole  condotte,  determina  una
ingiustificata discriminazione tra operatori economici. 
    L'art. 23, del decreto legislativo n. 28 del  2011,  contemplando
un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente  a  tutte
le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente  possa
modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della  valenza  degli
elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie  stessa,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 
    V1.4) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    La  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  ritiene  che   le
autorita' preposte all'irrogazione  delle  sanzioni,  in  materie  di
rilevanza europea, quale  quella  in  esame,  debbano  rispettare  il
principio di proporzionalita' (si veda Corte di giustizia UE, sez. I,
9 febbraio 2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n.
313 del 1990). 
    L'art.  23,  del  decreto  legislativo  n.  23  del   2011,   non
assicurando il rispetto del principio di proporzionalita',  si  pone,
pertanto, in contrasto anche con il  parametro  costituzionale  sopra
indicato. 
    VII) La valutazione di rilevanza e di non manifesta  infondatezza
della  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  23,  del  decreto
legislativo n.  23  del  2011  impone  la  sospensione  del  presente
giudizio   in   attesa   della   definizione    del    giudizio    di
costituzionalita'.